Annibal Caro nacque il 6 giugno 1507 a Civitanova, comunità della Marca di Ancona affacciata sul mare Adriatico e compresa nello Stato della Chiesa. Libero comune dal XIII secolo, Civitanova aveva alternato lunghi periodi di fedeltà alla Chiesa a più brevi periodi di adesione al partito ghibellino, finendo sotto diverse signorie, ultima delle quali quella di Cesare Borgia (1501-1503). Annibal Caro nacque pertanto pochi anni dopo il ristabilimento del diretto governo della Chiesa sulla sua città, ma già nel 1516 essa, per volontà di papa Leone X, fu sottoposta al vicariato di Giovanni Maria Da Varano, duca di Camerino. Civitanova riottenne la propria autonomia nel 1532, per poi perderla definitivamente nel 1551 con l’istituzione del feudo Cesarini. Durante la vita di Annibal Caro la sua piccola “patria” conobbe pertanto diversi mutamenti di status, intercalati da epidemie, carestie, sanguinosi conflitti interni e rovinosi passaggi di truppe. La forma della cittadina era già quella ancor oggi visibile con il giro di mura fatto edificare in parte dal condottiero Francesco Sforza e le due porte dette di Sant’Angelo (oggi Marina) e di S. Paolo (o Zoppa), anche se molti edifici, come le chiese di S. Francesco, S. Agostino e S. Paolo, e la piazza centrale avrebbero conosciuto radicali trasformazioni. Il padre del futuro letterato, Giovan Battista Caro, era un “aromatario” originario di Santa Maria in Lapide di Montegallo (oggi semplicemente Montegallo), comunità appenninica nota per la raccolta e il commercio di erbe officinali. A Civitanova, località in cui risulta residente dal 1504, egli vendeva, oltre a spezie e preparati galenici, stoffe di panno di lana e olio all’ingrosso, inoltre era proprietario di terreni e case, tra cui quella lungo l’attuale corso di Civitanova Alta in cui nacque Annibale. Era pertanto un autorevole esponente del patriziato cittadino e ricoprì a due riprese, nel 1514 e nel 1524, l’importante carica di priore della comunità. Morì nel 1528, forse a causa dell’epidemia di peste che imperversava in quell’anno. Una tradizione vuole che la madre di Annibale sia stata Celanzia Centofiorini, appartenente a una delle casate più illustri della Civitanova del tempo, tuttavia il fatto che non sia mai menzionata nelle diverse lettere inviate dal figlio a familiari e amici, getta un’ombra sulla sua identità. Annibale aveva tre fratelli: Giovanni, Fabio e Girolama. Egli apprese le lingue classiche e l’amore per la poesia da un umanista, Rodolfo Iracinto, o Aracinti (1492-1555), nativo di Monterubbiano (nel Fermano) ma ritenuto da diverse fonti teramano, il quale insegnava a Civitanova grammatica e poesia. Egli sarebbe stato lettore di latino e greco nel 1544, e due anni dopo di “umanità”, nello Studium di Macerata. Secondo Aulo Greco gli autori che Iracinto insegnava a Civitanova erano Virgilio, Orazio, Ovidio, Stazio e Marziale. Nel 1524 lo stesso Iracinto fece stampare ad Ancona un suo volumetto intitolato Iudicium Paridis, includendovi il primo componimento poetico, in lingua latina, di Annibal Caro. Il giovane civitanovese si trasferì a Firenze intorno al 1525 su invito di monsignor Giovanni Gaddi, in qualità di precettore dei nipoti Lorenzo e Antonio Lenzi. Benché non si conoscano le ragioni di tale invito rivolto ad un giovane provinciale così lontano dagli ambienti fiorentini, è assai probabile che sia stato Niccolò Gaddi, vescovo di Fermo dal 1521 a segnalare Annibal Caro al fratello Giovanni Gaddi. Dopo il periodo fiorentino Annibal Caro seguì lo stesso Gaddi a Roma, passando, dopo la sua morte, al servizio di Pier Luigi Farnese (1543). In questi anni egli intrattenne rapporti epistolari con parenti e amici di Civitanova spesso interponendo i suoi buoni uffici con le autorità per far ottenere loro qualche aiuto nelle più svariate circostanze. Ad esempio in una missiva datata 5 maggio 1548, egli segnalava al vicelegato della Marca il caso del figlio di tale Ranaldo “della Salara” il quale era stato condannato a cinque anni di esilio da Civitanova per aver incitato un proprio dipendente a uccidere un pastore che danneggiava la proprietà del padre. Il Caro chiese al vicelegato che consenta al giovane, figlio unico di Ranaldo, di far rientro a Civitanova dopo un solo anno di esilio “per sostentamento di quelli pochi giorni che il padre ha da vivere”. In qualche caso egli svolse un ruolo di pacificatore tra fazioni in lotta tra di loro come quelle dei Tofini e gli Ugolati. Nel 1532 il Consiglio generale di Civitanova bandì dieci membri di ciascuna delle due casate, ma le lotte intestine sarebbero durate ancora a lungo, come si evince da diverse lettere dello stesso Annibal Caro.
Tuttavia egli continuò ad adoperarsi per la loro cessazione e finalmente, il 25 aprile 1542, si firmò la pace tra le due fazioni alla presenza di un notaio e dello stesso Annibal Caro. Si colloca in questo contesto il famoso sonetto dedicato da lui dedicato alla sua città, che egli definisce “patria”.
(Testo tratto da: Annibal Caro, Rime. Aldo Manuzio, Venezia, 1569)
La comunità civitanovese avrebbe espresso la sua riconoscenza all’ormai prestigioso letterato esentandolo, nel 1546, dal pagamento di ogni imposta fino alla terza generazione (tuttavia, morendo celibe, Annibal Caro sarebbe rimasto il solo membro della sua famiglia a godere di tale esonero). Inoltre, a partire dal 1548, egli fu beneficiario del priorato della chiesa di S. Pietro extra muros a Civitanova. Inoltre egli fu investito del priorato della chiesa dei Ss. Filippo e Giacomo di Montegranaro. La vicenda matrimoniale di Porzia Caro, figlia di Giovanni e perciò nipote di Annibal Caro, interessa i rapporti amichevoli intrattenuti dal letterato civitanovese con Michelangelo. Porzia Caro sposò infatti a Civitanova nel gennaio 1555 Ascanio Condivi (1525-1560) già collaboratore del sommo artista e autore di una sua biografia. Originario di Ripatransone, l’anno precedente Condivi aveva deciso di fare ritorno nella sua città natale e di sposare la nipote di Annibal Caro. A Ripatransone Condivi lasciò alcune opere, tra cui il suo autoritratto, prima di morire annegato nel 1574 per un’improvvisa piena mentre attraversava il torrente Menocchia. Annibal Caro si spense a Roma il 17 novembre 1566. I suoi parenti civitanovesi commissionarono un busto in parte marmoreo in parte bronzeo, allo scultore recanatese Antonio Calcagni. L’opera, di notevole valore artistico, fu conservata nella casa dei Caro a Civitanova dal 1572 fino al 1683, ma in seguito all’estinzione della famiglia Caro passò ai Centofiorini, a loro volta estintisi nei Bufalini di San Giustino (Perugia) alla fine del XVIII secolo. Fu probabilmente allora che il busto entrò nel mercato dell’arte, per finire poi, nella prima metà dell’Ottocento, al Victoria and Albert Museum di Londra, dove si trova tuttora esposto.
Pier Luigi Cavalieri
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