Un vortice di emozioni ci regala la magia del ritratto che per la sua duplice natura d’illusione e aderenza al vero, ondeggiando tra verosimiglianza e rappresentazione, rende eterne le caratteristiche fisiche e somatiche di un individuo e il suo vissuto interiore. Tutto questo lo sapeva bene Annibal Caro (1507-1566) consapevole di quanto fosse importante mantenere vivo il ricordo di se attraverso un ritratto che celebrasse con le sembianze anche lo status sociale e il segno della sua arte, che evidenziasse i caratteri psicologici e parlasse ai posteri della sua anima stabilendo il perfetto equilibrio tra l’exemplar e l’ingenium. Il Caro avrà cercato, e forse ottenuto, dagli artisti conosciuti, (Lettere Familiari), di salvare una sua immagine parlante, ma del nostro geniale e versatile letterato si conoscono solo effigi postume. Il busto scolpito da Antonio Calcagni (1536-1593), oggi presso il Victoria and Albert Museum di Londra, e l’alto rilievo di Giovanni Antonio Dosio (1533-1611), realizzato nel 1566 ad ornamento della tomba nella basilica di San Lorenzo in Damaso a Roma, sono le figure più attendibili, espressive e somiglianti. A questi due modelli si sono ispirati tutti gli artisti che hanno scolpito o dipinto il letterato civitanovese fino ad arrivare alle moderne realizzazioni di Arnoldo Ciarrocchi che fa vivere il Caro, memoria illustre del Cinquecento, accanto a personaggi del passato e del presente, famosi e sconosciuti, amici, familiari, semplici paesani. Ma prima dei ritratti dipinti e incisi da Ciarrocchi, troviamo, presumibilmente del XVII secolo, una effige senile, di autore sconosciuto, conservata nella Pinacoteca civica di Morrovalle e dello stesso periodo l’opera di Alessandro Allori (1535-1607), meglio conosciuto come il Bronzino, oggi parte di una collezione privata. Del XVIII secolo la grande tela conservata nella Pinacoteca civica Marco Moretti di Civitanova Marche, dove il pittore ignoto ritrae l’umanista, rispettando un clicher ormai consolidato. Ancora un busto del Caro lo scopriamo a Roma nel cortile di Palazzo Gaddi e un altro al Pincio, tra quelli che nel 1851 Pio IX volle commemorassero eminenti artisti e grandi letterati. Stessa impostazione iconografica viene adottata dall’artista fermano Giovanni Nunzi (1835-1916) che nel dipingere il fondale del teatro storico di Civitanova Alta, inaugurato nel 1872, celebra Annibale ritraendolo con Virgilio e Dante, tra la personificazione del fiume Chienti e gli amorini e le Grazie. Qualche anno più tardi, a Fermo nel 1876, vengono inaugurati i monumenti destinati ad Annibal Caro e a Giacomo Leopardi, entrambi opera dallo scultore Edoardo Tabuchi, su commissione del conte Alessandro Maggiori. Nel corso del Novecento Domenico Bruschi (1840-1910), nel Palazzo della Provincia di Macerata e Ulisse Ribustini (1852-1944), nella Sala Consiliare nel Palazzo della Delegazione comunale di Civitanova Alta, gli dedicano un medaglione dipinto dove un autorevole Annibal Caro, ormai vicino alla vecchiaia, mostra ai posteri la grandezza dell’uomo che fu. Neoclassico il secondo ritratto, anche questo non firmato, conservato nella Pinacoteca civica di Civitanova che presenta il letterato a mezzo busto, incorniciato nell’ovale creato da un nastro su cui si legge F. ANNIBAL CARUS DE CIVITATA- NOVA IN PICENO EX PROTOME IN BASILICA S. LAURENTII IN DAMASO DE URBE. La fisionomia e l’iconografia non si discosta dal prototipo manierista: aspetto solenne, occhi vivi, folti capelli, baffi e barba bianchi, austero abito nero sul quale risalta la croce dell’Ordine Gerosolimitano. In occasione delle celebrazioni per il quarto centenario della nascita del più illustre dei suoi figli, Civitanova Alta promuove studi e festeggiamenti e fa realizzare il grande medaglione in bronzo firmato dallo scultore toscano Romeo Pazzini (1852-1924), che viene collocato ad ornamento della facciata di casa Caro con riportato il testo latino che il conte Pietro Graziani, nel 1772, fece incidere sulla targa che è nel cortile interno della dimora e che ricorda che nella casa di Annibal Caro “(…) felicemente abitarono Pallade e le Muse e le Grazie”. Dei primi anni del Novecento, sempre dello scultore Romeo Pazzini, va ricordato il progetto del monumento che si sarebbe dovuto realizzare in onore del letterato e del quale resta il bozzetto in gesso. Qui Pazzini riprende le sembianze iconiche proposte da Antonio Calcagni e da Giovanni Antonio Dosio, al vertice del blocco monumentale sistema la figura intera a tutto tondo di Annibal Caro e illustra in rilievo, nella fascia del piedistallo, quattro momenti della sua vita: Annibal Caro al cospetto di papa Paolo III, nato Alessandro Farnese, Caro e Virgilio, Caro e Pierluigi Farnese figlio di papa Paolo III, la morte del poeta. Anche Pazzini, nel bozzetto in gesso, descrive il personaggio come maturo e prestante uomo di rango, fiero di esibire la croce dell’Ordine dei Cavalieri di Malta e con un libro in mano emblema della sua arte e dei suoi interessi culturali, segno del delicato compito di segretario e diplomatico a lungo esercitato a Roma per Casa Farnese. L’effige di Annibal Caro che ci viene tramandata è il ricordo che Dosio e Calcagni hanno di lui, l’immagine della persona, ma ancor meglio tramandano la raffigurazione morale, l’essenza del soggetto e come esorta Giovanni Paolo Lomazzo (1538 –1592), anche per Caro ciò che importa non è rendere le forme distintive del corpo, ma estrapolare l’essenza del dell’uomo, catturare le sue peculiarità spirituali e morali, manifestare la sua dignità e la grandezza che, trascendendo le fattezze fisiognomiche, annulla il tempo e diventa emblema, exemplum virtutis.
Enrica Bruni
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